Da molto tempo volevamo portare i Giraffi Sposi a mangiare in un posto oltreconfine dove servono piatti alla brace, prevalentemente pescato del giorno, in un ambiente rustico, ma fine e raccolto, più adatto alle coppiette [meglio se clandestine] che alle famiglie, con prezzi più da Versilia che da Slovenia, ma con una qualità di materia prima e una competenza nella preparazione che Escoffier, nominandolo da vivo, gli fa una pippa.
Sebbene provata dalla produzione della torta di pannolini, l'instancabile Giraffa è già nel rutilante mondo del Natale, immersa nella realizzazione di pupolotti per il mercatino di Barcola.
Conscia che neppure lei tutto puote, mi insignisce della più alta onorificenza tra cuochi e mi subappalta la produzione dei dolci.
E' la cosa di cui vado più orgogliosa nella vita, è come se Michelangelo mi avesse detto "Scusa, Larry, ho un po' di mal di collo, la finiresti tu la Cappella Sistina, per favore?", come se fosse venuto Paganini e mi avesse detto "Belin, oggi non c'ho proprio testa, ci vai te a suonare al mio posto?" [Paganini, è noto a tutti, parlava con il fatidioso "ci" pleonastico, intercalare tipico genovese]
Non mi riprenderò mai dalla sbornia di orgoglio e, se proprio volete saperlo, sì: il successo dà alla testa.
Il locale è meno rustico di come me lo aspettassi, anzi è curato, luminoso e sfoggia tovaglie rosa e arancioni, palesemente in onore di Francesca e mio.
Dopo una morra cinese all'ultimo sangue [con scorrettezze del tipo "ti taglio due dita così diventa sasso e la mia carta lo batte"], in maniera molto matura ci accomodiamo al tavolo arancione.
Una volta che abbiamo faticosamente ottenuto quei facoltativi recipienti che gli italiani chiamano "bicchieri" e che gli istriani sembrano non utilizzare, ecco cosa ci viene servito:
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